TFF OFF 2015 / Recensione

Antonia

Antonia

Ferdinando Cito Filomarino – 2015
96′
Italia
Festa Mobile

Gli ultimi anni di vita della poetessa milanese Antonia Pozzi, morta suicida nel 1938 a soli 26 anni di vita, raccontati in una operazione che però riesce soltanto in parte.
L’autore, evidentemente innamorato della poesia, la restituisce però al pubblico attraverso una parola scritta che sul grande schermo mostra tutti i suoi limiti, laddove Il giovane favoloso di Martone (uscito solo un anno prima, e con cui non si può non istituire un confronto) optava per far recitare i propri scritti dal poeta stesso. Se il Leopardi di Martone, pur stroncato da certa critica, riusciva a trasmettere in tutta la loro vitalità i versi del poeta, Antonia vuole mostrare la poesia e l’esser poeta attraverso soluzioni più originali, che funzionano però solo a livello delle pure immagini.
Da menzionare in particolare i colori, che rendono suggestivamente ogni oggetto insieme vetroso ed opaco: l’ottima fotografia, con pochissima luce, unita ad una regia capacissima ed a tratti davvero artisticamente ispirata, riescono bene a sottolineare la fragilità della protagonista.
Alcune scelte lasciano tuttavia perplessi: l’eccessivo soffermarsi su scene di nudo (con la colonna sonora, adattissima anche se fuori contesto, di Piero Ciampi) le trasforma da momento di riflessione sulla intimità della poetessa in puro voyeurismo – anche se artisticamente ben realizzato – rivolto alle prosperose forme dell’attrice Linda Caridi.
L’attrice stessa, o le scelte di sceneggiatura, rendono il suo personaggio decisamente deludente, una sorta di Amélie Poulain eroticizzata, nel suo volersi mostrare contemporaneamente ipersensibile ed ingessata, irrimediabilmente fuori dal proprio contesto sociale, una bella emarginata di cui nessuno spettatore può fare a meno di innamorarsi, con cui chiunque vorrebbe fuggire lontano.
Il coprotagonista è anch’egli perfettamente inserito nel suo ruolo di macchietta: malaticcio, ingessato quanto lei ma cerebrale e tranquillizzante, esattamente come si conviene al giovine studente di filosofia. Non scompone i ranghi neppure il padre di lei, fondamentalmente buono e comprensivo ma troppo professionalmente inserito per comprenderne davvero le urgenze poetiche.
Non sappiamo nulla della donna Antonia Pozzi, ma dalla sua poetica emerge sì una donna fragile e dalla sensibilità emotiva sregolata, ma il cui essere fuori dal comune è anche segno di una diretta e penetrante connessione con la cruda violenza del reale. La forza di quel tipo di sguardo che hanno tutti gli alpinisti e a maggior ragione doveva avere una donna alpinista nell’Italia fascista non emerge in alcun modo dal film, che finisce per appiattire la protagonista in uno stereotipo confezionato ad uso e consumo dei gusti di un pubblico di borghesi frustrati. Per questo motivo, anche le ambiziose scene girate in montagna mancano di solidità e finiscono per essere più noiose che spettacolari.

Lucaz