TFF OFF 2013 / Recensione

Au Nom du Fils

Au Nom du Fils

di Vincent Lannoo, Belgio, 2012, HD, 80′

Sezione TFF 2013 – After Hours

Vincent Lannoo (il regista del film) è geniale. Sceglie uno dei temi più drammatici e scottanti del cristianesimo – la pedofilia clericale – e ci mette dentro: Elisabeth, una fervida credente belga (una giovane madre bigotta e bacchettona) che tiene un programma radio sulla fede cristiana; Achille, un prete pedofilo di origini italiane (un po’ viscido e cicciottello), collega radiofonico di Elisabeth; un prete-militare matto che durante i campi di formazione cattolica addestra i ragazzi a uccidere gli islamici; un po’ di sangue e armi.

Prende tutto e lo impasta con pazzia e “ironia noir”, sfornando così uno dei film più interessanti e dissacranti degli ultimi anni.

I temi come la pedofilia di solito sono trattati con una certa reverenza, il che è anche alquanto fastidioso dato che abusare di bambini è un atto abominevole e schifoso che andrebbe condannato a gran voce. Lannoo, invece, prende il tema “di petto”.

Egli mette in dubbio i più spinosi dogmi e precetti della cristianità – la fede, l’onnipotenza di dio, il paradiso, l’inferno, la santità, la tolleranza, la carità, il suicidio – ponendo continue domande (più o meno esplicite) allo spettatore, in modo ingenuo e ridicolo, come un ateo o un bambino farebbero al Don Beppe della Parrocchia di Moncucco di turno – il quale inevitabilmente fornirebbe sempre e solo un’unica (non)risposta: bisogna avere fede in dio! –

Poi, pian piano, Lannoo trascina Elisabeth in un vortice di eventi tragicomici che fanno barcollare la sua “profonda” fede in dio e che la fanno crollare del tutto quando scopre che suo figlio è stato vittima degli abusi di padre Achille.

Elisabeth si rivolge alla chiesa che, però, a questi fatti non dà risposte (in Belgio nel 2012 più di 350 denunce di abusi non hanno avuto nessun seguito giudiziario), e viene anzi accusata dal vescovo di calunnia e infedeltà. L’unica via perseguibile, diventa allora quella della giustizia self made: impugnare la rivoltella, vendicare gli innocenti, seccare tutti i preti zozzoni.

La catarsi e la liberazione non possono che avvenire con la morte violenta dei pedofili, l’unica possibilità alla finta cecità delle alte cariche ecclesiastiche.

Come in una crociata al contrario santa Elisabeth from Belgium intraprende un improbabile percorso di vendetta che la porterà a trovare e fronteggiare tutti i preti denunciati al vescovo e mai condannati, fino ad arrivare a padre Achille. La luce del Signore la folgorerà di nuovo e così che ella possa perdonarlo o lo ucciderà senza pietà?

Lannoo traccia il ritratto di una Chiesa sempre meno credibile perché sempre più incastrata in questioni di potere e visioni etnocentriche. La pedofilia non è altro che la punta di un iceberg. Il problema di fondo, semmai, sta nella Verità che la Chiesa si allena a nascondere e camuffare da millenni, adescando credenti con la menzogna e addestrandoli alla sordità.

“Nel nome del figlio” la fede viene lavata via, come una macchia di sangue dal muro, e la catarsi per lo spettatore avviene tramite il riso amaro.

Un film di un genere indefinibile che va dalla commedia noir, allo splatter. Drammatico ma infinitamente comico.

Se non siete credenti vi spancerete dalle risate, se lo siete invece state sereni perché come dice il prete-militare pazzo del film, addestratore di killer santi: «la chiesa è morta».

di Cattivo Gusto