TFF OFF 2013 / Recensione

Silencio en la tierra de los sueños

Silencio en la tierra de los sueños

di Tito Molina, Ecuador, 2013, DCP, 94′

Sezione TFF 2013 – Onde

Spesso i registi al loro debutto, o comunque giovani e che lavorano con pochi mezzi, presentano dei lavori dove, immancabilmente, a pagare lo scotto dell’inesperienza, della poca professionalità o delle poche possibilità, è il sonoro. Questo è dovuto sia dal fatto che oggettivamente, oggi, ottenere delle buone immagini anche con strumentazioni tecniche dai prezzi non proibitivi, è più facile che isolare i rumori di fondo e modulare l’intensità di quelli prodotti volutamente sulla scena, ma anche e soprattutto dalla non attenzione dei registi al sonoro, da una certa cultura cinematografica che lo vede come componente secondaria, o aggiuntiva.

Nel dibattito che ha attraversato la storia del cinema su chi fosse l’autore di un film (il produttore? il direttore di fotografia? il regista? lo sceneggiatore? il direttore del montaggio?) i musicisti e i direttori del sonoro non sono mai stati presi in considerazione, anche se molti cinefili e, fortunatamente, anche qualche regista, sanno che a rendere indimenticabile questa o quella scena non c’è solo l’inquadratura, la fotografia, il copione e la recitazione, ma anche il suo componimento sonoro, le sue musiche. Miyazaki, Kitano, Leone, Tarantino, Lee – per dire i primi che mi sono venuti in mente guardando la cartella “ost” del mio lettore – sarebbero gli stessi senza i commenti musicali usati nei loro film?

Tito Molina, regista ecuadoreño che comincia ad essere apprezzato (e la produzione del suo lavoro lo dimostra) in tutti i continenti, contrariamente a tanti suoi colleghi, punta tutto sul sonoro e realizza uno dei lungometraggi più apprezzati della categoria onde.

Un’anziana signora perde progressivamente l’udito. Ma il mondo di suoni che perde nella realtà le viene restituito nel sogno. I suoi sogni sono una spiaggia prima silenziosa e deserta e poi animata dalla musica e dal canto del mare. A farla da padrone, l’abbiamo già detto, è l’utilizzo del rumore che di scena in scena ci fa capire cosa succede al mondo sensoriale della protagonista. Piccole distorsioni che poi diventano sempre più importanti e rendono tutti, anche lo sceneggiato preferito dalla signora, quello di cui conosce le battute a memoria, niente altro che un colpo attutito in un mondo ovattato.

Il grande difetto di questo lavoro è la durata. Una volta capita l’antifona si poteva eliminare qualche scena di “progressiva sordità” assolutamente ridondante, tuttavia la scena finale, dove musica classica, bolero latini e rumori della strada compongono un’allegra sinfonia, merita l’essere rimasti svegli mentre assistevamo, chissà perché, all’addomesticamento di un cane.

Unico dubbio: la signora ha il gozzo perché l’attrice Bertha Naranjo ce l’ha, o è finto, è stata una scelta registica per rendere disfagici i suoi pasti e rumorosi i suoi sonni? Non so come funzioni la sanità in Ecuador né quale sia stato il contratto della Naranjo o l’incasso (credo scarso) del film. Però spero che con i soldi del film la signora Naranjo decida di andare da un endocrinologo perché se lo sputacchiare sul piatto era un effetto non voluto, la disfagia della signora ha preoccupato molto me e i miei vicini di poltrona.

di Roberto Origliasso