TFF OFF 2015 / Recensione

Stinking heaven

Stinking heaven

Nathan Silver – 2015
70’
USA
Festa mobile

Anni Novanta. Betty condivide con Ann un legame sentimentale e di dipendenza dalle droghe. Stacco. In una casa nel New Jersey si celebra il matrimonio tra Betty e Kevin, più vecchio di lei e con una figlia adolescente, Courtney. Nella casa vivono altri inquilini, tra cui la coppia di coniugi, Jim e Lucy. Tutti insieme formano una comunità di auto-aiuto e cercano di superare le proprie dipendenze da droghe o altro. Passano il tempo a praticare sport, fanno la doccia sotto la pioggia, cercano di mantenersi vendendo un fungo fermentato distillato nella propria vasca da bagno. Attraverso le relazioni che legano gli abitanti della casa, il regista, cambiando di volta in volta il punto di vista della narrazione, svela la storia dei singoli. Si apprende allora che Betty ha lasciato Ann perché violenta e ha sposato Kevin; Kevin coinvolge la figlia bulimica, Courtney, nella propria dipendenza e in furti per potersi mantenere; Courtney, nonostante ciò, è legata al padre perché non l’ha mai costretta a prostituirsi ed è l’amante di Jim; Jim è il marito di Lucy e chiede alla matrigna i soldi per pagare le spese; Lucy ha un carattere morboso e possessivo, oltre che una storia sentimentale tormentata alle spalle.
Sembra che ci sia un equilibrio fra i coinquilini, ottenuto attraverso il rispetto di alcune regole. Essi devono dichiarare la propria dipendenza, non fare uso di droghe o alcol in casa, partecipare alle riunioni di gruppo, fare sport. Ogni componente si deve sottoporre, inoltre, a una sorta di messinscena dei momenti infimi della propria esistenza, filmati in video dagli altri membri. Alla fine della rappresentazione, la persona di turno viene confortata e rincuorata. Questa condivisione, però, ha solo l’aspetto di un rito purificatorio: non c’è approfondimento o analisi della situazione, ma vi è solo quell’accettazione che i componenti non hanno trovato nella società esterna. La reciproca dipendenza tra i membri non lascia spazio all’espressione del malessere di ognuno. Le regole della casa sono state dettate da Jim e condivise con il gruppo. Chi non sottostà alle leggi viene punito con la pulizia del bagno, o, per i casi più gravi, è costretto ad abbandonare la comunità.
Il gruppo è destinato a implodere e ciò avviene con l’arrivo di Ann. Lei mette subito in discussione i precetti della casa; per causa sua Betty abbandona la comunità; a sua volta Kevin viene cacciato perché trovato a consumare droga in casa; Courtney si suicida dopo aver appreso che il padre è morto di overdose. Dopo questo fatto, la stessa Ann decide di lasciare la comunità e ciò provoca il tracollo nervoso di Lucy. Lo stesso Jim, alla fine, accetta di lavorare per la matrigna, abbandonando così il proprio progetto. Dopo la decisione di un singolo di lasciarsi andare, anche gli altri componenti, legati reciprocamente e privi di una qualche motivazione personale, cadono uno dopo l’altro, senza possibilità di salvarsi. Il mantra che il gruppo ripeteva alla fine di ogni seduta, dipendiamo dall’amore, sottolinea proprio il legame patologico che lega i diversi componenti.
Il senso di straniamento, che lo spettatore avverte fin dalle prime scene del film, è il segnale che la stabilità iniziale era solo fittizia: nelle dinamiche del gruppo non c’è un’evoluzione in positivo e l’unico scopo della comunità era quello di rimanere a galla. Il film è come un pugno allo stomaco dello spettatore, il quale vorrebbe sgusciare via per non sottoporsi più all’autodistruzione dei singoli personaggi, ma è tenuto al suo posto dalla speranza di un evolversi della vicenda.

Davide Piero Mercaldo