TFF OFF 2012 / Recensione

Abigail Harm

Abigail Harm

Sezione TFF2012: Onde

Categoria TFFOFF: Fuori

A lungo mi sono chiesto se questo film non dovesse cadere sotto la categoria “50 sfumature di sfiga”, ma l’andamento surreale, nelle intenzioni di Lee isaac Chung, pacchiano, secondo chi scrive, lo colloca di diritto in questa sezione.

Abigail Harm è il tipico film dove una trama assurda dovrebbe simboleggiare quelle cose postmoderne che vanno tanto nei festival, tipo la solitudine, l’incomunicabilità umana e l’impossibilità intrinseche delle relazioni sentimentali. Ovviamente ottima interpretazione della protagonista femminile e splendido commento musicale (da cliché Film Festival), ma non bastano per reggere la pretenziosità e la banalità della pellicola. Non del tutto sfruttati i pochi punti di valore della trama, che ha il pregio di farti pensare a tutte le relazioni sbagliate della tua vita per 80 minuti e pensare “beh, poteva andarmi peggio”, ma ha anche il difetto di convincerti che non hai mai amato nessuno, ma solo sfruttato il prossimo per sentirti meno solo. Bravo Lee Isaac Chung! Per questo, per sentirsi così la gente spende i soldi e va al cinema…

Abigail Harm è una lettrice per ciechi, con un passato da alcolista depressa (passato?!) ma molto tenera che un giorno si trova a dar ospitalità, suo malgrado, a un uomo ferito e inseguito dopo un furto di una manciata di dollari, dai proprietari dei dollari in questione a quanto pare. Abigail finalmente può sentirsi utile e compiacersi di questo e tra ipocrisia e reale interesse per il prossimo lo accudisce finché il buon uomo insanguinato gli svela il suo mistero: nel suo vagare per la periferia in cerca di lordume e sporco ha trovato una casa abbandonata, con tanto di vasca nelle cui acque sporche ama immergersi. All’inizio è il solo a condividere le gioie delle acque non proprio chiare come quelle di cui cantava Petrarca, poi altri decidono di imitarlo. Finché un giorno qualcuno gli ruba i vestiti ed è costretto a scappare e rubacchiare per fuggire. Il tutto intervallato da qualche frase casuale sull’amore e sull’avere una relazione intima. Cose che si dicono quando si parla di sporco delle unghie per ore…
Abigail ha l’intuizione: se è riuscita a essere utile una volta grazie alle vestaglie rubate nella vasca dei zozzoni, può esserlo di nuovo! Smette di lavorare e va in cerca di questa vasca, dell’amore e di se stessa. E finalmente il film può decollare, perché fino a qua era tutto un simpatico prologo. Un giovane asiatico si sta godendo la sua sana mezzora di svago nella melma, quando Abigail gli ruba la vestaglia, torna a casa per nasconderla, si reca di nuovo nella vasca dei zozzoni e inizia la sua relazione con il giovane giapponese. Una sorta di addomesticazione del selvaggio che mi ha irritato per come sembra sottendere che se una donna è sola e senza figli la sua unica possibilità sia avere una relazione con un ragazzo giovane, e che tra avere un cane e avere un fidanzato asiatico non ci sia molta differenza. Penso che gli antenatici asiatici di Chung siano davvero fieri di lui. Io mi limito a fargli i complimenti per aver girato l’unico film che ti fa rimpiangere le scene cervellotiche quando questi due disadattati iniziano a fare sesso. E io che avevo passato interminabili minuti a chiedermi: “ma perché invece di aprire e chiudere le finestre non fanno sesso?”.
Cervellotico senza motivo e inutile. Unica nota positiva, oltre al già citato commento sonoro, è la protagonista: poteva essere meglio descritta, ma tutto sommato questo strano misto tra reale gentilezza e ipocrisia, tra bisogno di non essere soli e dipendenza dalle relazioni, in qualche modo affascina. I primi dieci minuti.

Roberto Origliasso