TFF OFF 2017 VII edizione / Recensione

La cordillera

La cordillera

Santiago Mitre

114′

Argentina, Francia, Spagna – 2017

Festa Mobile

La Cordillera è un film che intreccia in modo intelligente e inusuale il thriller politico a quello psicologico, il pubblico con il privato. Anche se subito si è propensi a credere che siano i primi termini di questa equazione a essere importanti, man mano che il film prosegue si alza il velo. Il thriller è psicologico, il film privato, perché solo da un perfetto controllo di queste due sfere si può passare a governare la politica e a ipnotizzare il pubblico. Questo quanto dimostra il neo eletto presidente argentino Hernàn Blanco (interpretato dal bravo Ricardo Darìn). Votato perché “uomo comune”, distrutto dalla stampa per lo stesso motivo, in realtà molto più scaltro e manipolatore dei suoi colleghi presenti al summit cileno per dar vita all’Alleanza Petrolifera del Sud.

Questo il contesto pubblico, il summit, con le alleanze e gli accordi sotto banco. Con la tensione politca che cresce ma non esplode mai. A esplodere, invece, è una finestra mandata in frantumi dalla figlia del presidente Blanco, Marina. Qui sta l’innesco del thriller psicologico. Lentamente ma inesorabilmente emergono frammenti di un passato che deve essere negato e nascosto, a costo di giocare con la mente della propria figlia e manipolarla.

Pian piano iniziamo a conoscere Hernàn Blanco, a comprendere che non siamo davanti ad un uomo un po’ troppo sempliciotto per fare il Presidente dell’Argentina. Davanti a noi si staglia un “diavolo”, lo stesso del sogno che Blanco racconta alla giornalista accorsa per intervistarlo, il medesimo che più avanti nel film, alla domanda circa la sua conoscenza della differenza tra bene e male risponde che il male certo esiste, ma non ignora il bene come se non esistesse. Parla invece dell’ambizione, sempre presente.

Così, quando in scena compare lo psichiatra accorso al capezzale di Marina, il regista Mitre ci mostra l’alterego del protagonista. L’uomo, interpretato da Alfredo Castro, propone di ipnotizzare Marina e da qui si entra in una dimensione misterica e a tratti onirica. Ancora più importante, il medico ipnotizzatore dei pazienti si sovrappone al politico ipnotizzatore di masse. Lo scaltro politico, il manipolatore Blanco capisce che questo è un pericolo troppo grande. La mente della figlia è stata una palestra di manipolazione. Il passato, nascosto a forza tra le pieghe dell’inconscio di Marina, non può emergere e non emergerà.

Da qui in avanti il film si concentra sulla capacità di nascondere e manipolare – magistrali le scene del pranzo tra padre e figlia e dell’incontro con i cavalli tra le montagne della cordillera. Nella prima, quando Blanco intima alla figlia di rispondere perché lui è il Presidente, si manifesta la sua costante, incombente presenza su Marina. È però nella seconda, nello sguardo del cavallo, nell’occhio in primo piano che rimanda lo spettatore ai ricordi onirici di Marina, che si fa evidente la personalità di Hernàn Blanco. Abbiamo appena assistito al suo incontro segreto con un rappresentante del “diavolo”, gli Stati Uniti, ma in realtà il diavolo è bianco come la neve sulle montagne che accolgono la location del summit.

La fotografia è magistrale, pulita ed evocativa. La trama intrigante e ben congegnata. I personaggi sono disegnati con maestria e interpretati da bravissimi attori. Un bel film, forse persino troppo bello per essere reale, un po’ come l’ideale dell'”uomo comune”. Mitre ci porta esattamente dove vuole, dall’inizio ci trascina esattamente dove aveva in mente. E noi lo seguiamo.

Federica Masera