TFF OFF 2015 / Recensione

The forbidden room

The forbidden room

Guy Maddin – 2015
119′
Canada
Afterhours

Un gruppo di uomini è bloccato in un sottomarino e tra poche ore l’ossigeno disponibile sarà esaurito. Nessuno vuole disturbare il capitano che risiede nella sua “stanza proibita”. Arriva sul sottomarino un boscaiolo (!) che inizia a raccontare la sua storia, da cui altre mille, deliranti storie si dischiuderanno in un complesso sistema di scatole cinesi.
The forbidden room è un capolavoro lisergico che esplora i limiti della narrazione cinematografica in una fantasia che rivela l’amore per il grande cinema muto precedente i grandi studios, tra acconciature anni ’20 ed uno stile continuamente inframezzato di didascalie che presentano i personaggi, i loro pensieri, le situazioni. I topoi stessi sono tipici di quell’età del cinema: l’uomo tormentato dalla colpa di un futile delitto, il doppio malvagio del gentiluomo, il vampiro, gli amanti divisi dalle forze del male, e ancora l’amnesiaca che canta in locali notturni ed il vampiro, la bella rapita dai selvaggi ed il manipolo di eroi con qualità straordinarie che la deve salvare.
Non c’è filo logico a legare il tutto diverso da una radicale libertà che il narratore impone violentemente al suo pubblico. E la violenza narrativa si esprime nel montaggio frenetico, che sottopone lo spettatore ad un bombardamento di immagini – si può parlare di autentico horror vacui – in cui gli sperimentalismi acidi degli anni ’60 si mescolano col cinema muto e quello contemporaneo. La sovraesposizione della fotografia ed il contrasto accesissimo ai limiti del tollerabile sono infatti condite con soluzioni digitali originali, che rendono l’esperienza veramente disturbante e insieme veramente di intrattenimento, in un fragile bilanciamento che, in un prodotto così ambizioso, è un ammirevole risultato che pochi potevano sperare di ottenere.
Questo consigliatissimo film non è solo un divertente barocchismo, ma si fa automaticamente profonda riflessione sul cinema, e l’arte in senso lato, come tesa tra due poli. Da un lato l’infinita libertà produttiva dell’artista nel continuo slittamento tra mondi, quelli in cui i baffi sognano e quelli in cui i riti d’iniziazione primitivi consistono nello schioccare le dita. Sull’altro versante esso mostra in controluce l’arte come doloroso, continuo sforzo il quale – al pari di quello che deve essere costato a chi ha lavorato alle riprese, e soprattutto a montaggio e postproduzione – si (ir)risolve in ultima analisi nel nonsenso, nell’inutilità elevata a prodotto degno di ammirazione, sul palcoscenico di un night o sullo schermo di un cinema.

Lucaz