TFF OFF 2013 / Recensione

Midnight Cowboy

Midnight Cowboy

di John Schlesinger, USA, 1969, DCP, 113′

Sezione TFF 2013 – New Hollywood

Gli anni Sessanta sono il periodo in cui l’industria cinematografica hollywoodiana è in piena crisi e, proprio nell’epoca in cui l’American Dream si sta affievolendo, ogni cosa cambia prospettiva. Scompaiono i temi da sempre rappresentati e si fanno strada “sentimenti” nuovi. Sullo schermo non vengono più statuarizzati i cosiddetti divi, quanto piuttosto degli anti-divi – cowboy, criminali, fuorilegge, motociclisti senza meta.

Il viaggio acquisisce fascino e incarna il significato di libertà.

Su questa scia, Hollywood si lancia letteralmente verso nuovi punti di vista e affida a nuove “voci” l’esordio di un cinema rivoluzionario.

Midnight cowboy – Un uomo da marciapiede – è un film del 1969 e si muove esattamente in questa direzione. I due protagonisti, Jon Voight (nei panni di Joe Buck) e uno strepitoso Dustin Hoffmann (nei panni di Enrico Salvatore “Ratso”), sono agli esordi.

Joe Buck, un giovane texano insoddisfatto della vita che conduce, decide di dare una svolta e di partire per New York. Ai suoi occhi, la Grande Mela appare immediatamente come una sicura possibilità di successo. Joe è estasiato per la vita che immagina di poter condurre nella sua nuova dimensione, ma si rivela un ragazzo ingenuo e alle prime armi con la vita. Egli, infatti, spera di guadagnarsi da vivere come gigolo ed è in questo tentativo disperato che incontra Enrico Salvatore, detto Ratso, un italo-americano tisico, che conduce la sua precaria vita con qualche piccola truffa e che sogna di andare in Florida. Inizialmente, Ratso tenterà di trarre in inganno anche Joe, ma finiranno per diventare amici e compagni di vita, dandosi sostegno l’un l’altro. Personalmente, vedo in Joe un ragazzetto che non ha affatto le idee chiare su chi voglia essere. Vedo in lui sogni ad occhi aperti e continui ricordi tormentati d’infanzia che lo scortano dall’inizio della pellicola fino a quando egli giunge in Florida. Qui, in Joe Buck avviene la reale svolta. Dopo un “percorso ad ostacoli”, il ragazzo pare sia diventato grande e consapevole di se stesso (il cambio d’indumenti ne è il simbolo).

Anche se la storia che il film ci vuole raccontare è quella di Joe Buck, il ruolo interpretato da Dustin Hoffmann è, secondo me, importantissimo. Ratso impersonifica il “grillo parlante di Pinocchio”, seppur diverso, nei confronti di Joe: riveste l’arduo compito di dover mostrare la via di un percorso di crescita al giovane e inesperto Joe.

In ultimo, il film è un’amara e lucida descrizione di un viaggio che si confonde tra realtà e immaginazione e che termina nell’abbraccio sincero di un sogno che si spegne.

di Giulia Ferrero